Ferragosto 1982
Avevo un’idea che mi girava da quasi due mesi per la testa; fare il giro del trentino con il Ciao. L’ho proposto al mio amico Adriano che entusiasta ha accettato subito. Il 15 agosto, di mattino presto la partenza. L' aria era frizzantina. Da Pordenone andiamo verso Vittorio Veneto. Con il giubbetto in jeans si sentiva freddo. Poco prima di Vittorio ci fermiamo da un giornalaio, compriamo un giornale e la mettiamo sotto la giacca. Ci fa stare decisamente meglio. Arrivati a Vittorio Veneto prendiamo per Revine Laghi, Valdobbiadene.
Non sono neanche le otto è ancora presto, ma non c’è traffico. I Ciao filano che è una meraviglia, sulla pedana poggiapiedi abbiamo sistemato un tanicone da cinque lt di miscela per stare tranquilli, e non dover aspettare che aprano i distributori in caso di necessità. Dietro, sul portapacchi, sacco a pelo, e la tenda comprata a Napoli da un amico, tale Pessetin, (soprannome datogli dal fatto che a scuola durante la pausa chiedeva sempre un Pessetin (pezzettino) di panino). A Combai al Ciao inizia a scivolare la cinghia, ma ci mancava la chiave. Per fortuna in paese stavano allestendo una sagra e c’era una bancarella che vendeva articoli di ferramenta. Chiediamo al tipo se ci può prestare due chiavi per tirare la cinghia, ma ci risponde: ”se te la compri dopo te pol anche tignirtela”. Bisogna quindi comprare un’intera serie made in Cina. Ci chiede dove vogliamo andare in motorino, gli raccontiamo la nostra idea, ci risponde, con un chiarissimo: ”seo matti”. Rimettiamo a posto la cinghia e ripartiamo. Ormai la giacca con il giornale non servivano più, ci stiamo godendo il bel sole d’agosto.
Arrivati ad Arsiè mancava poco per la Val Sugana , il nostro
fondoschiena non lo sentivamo più, cominciavano
ad avere fame. In Val Sugana ci fermiamo in un negozio di generi alimentari
(che esiste ancor oggi). Quattro panini con mortadella, coca e birra. Un pasto da
Re.
Alla mattina, dopo colazione, proviamo a rimetterci in viaggio per andare a visitare il lago di Tòvel, vicino Cles, che ha la particolarità di diventare rosso in un momento dell’anno. Ma il Ciao di Adri non vuole andare in moto. Non fa scintilla; proviamo a mette mani alle puntine ma non riusciamo a fare niente. I meccanici sono tutti in ferie. Decidiamo di lasciarlo legato ad un palo della luce e venirlo a riprendere qualche giorno dopo. Davanti ad una birra decidiamo di separarci, io vado avanti in motorino, lui ritorna in autostop . Salutati mi dirigo verso Trento, deciso comunque a fare il giro pensato. Mi sento solo, mi manca la vista d’Adriano davanti o dietro.
Passo il paese di Lavis e dopo Salorno vedo una ragazza che fa autostop, (o aspetta qualcuno, non so ). Mi fermo a parlare un pò con lei, mi chiede dove vado, mi chiede di portare i suoi saluti ad un’amica a Moena, che lavora in un negozio di artigianato; Mi saluta e mi guarda ripartire. Penserà che sono matto fare un giro di oltre quattrocento km in due giorni con il Ciao. Arrivo a Ora giro a destra la strada e bellissimo s’inerpica sulla costa della montagna con una dolcezza tale da che ti da la possibilità di ammirare la valle sottostante coperta da centinaia di meleti, e case i cui balconi ricoperti da rigogliosi gerani rosso sangue. Arrivo a Cavalese; il traffico non è quello di oggi ma anche allora c’ era la coda per entrare in paese . A Moena vado in cerca del negozio ma la ragazza ma non era ancora arrivata. Iniziava di pomeriggio. Allora lascio detto alla padrona di portare i saluti e riprendo la strada. A Campitello mi fermo a mangiare un panino adesso dovrò pedalare come un ciclista, il Ciao non c'è la farà da solo. Inizia la salita al Pordoi ed inizio a pedalare, la gente che scende mi guarda come se fossi un marziano, arrivato in cima al passo smetto di pedalare, scendo dal motorino lo lascio girare un po’ al minimo per farlo raffreddare, mi fanno male il culo e le gambe. Entro al rifugio, e mi mangio una fetta di strudel ed un caffe. Riparto e mi lancio nella discesa per Arabba, una discesa tutto gusto.
Come una freccia arrivo ad Andrai poi a Cernadoi; si ricomincia a salire sul Falzarego ricomincio a pedalare, sto per rimpiangere la decisione che abbiamo preso, mi vengono dei flash su ciclisti d’anteguerra su strade polverose. Mi vogliono superare, pieni di polvere e sudati, motociclisti di inizio secolo con braghe alla zuava e occhialini, su moto scoppiettanti che mi salutano. Ma questi pensieri devono essere figli della mancanza d’ossigeno. Però vedo passare anche Coppi e Bartali come frecce. Sono arrivato in cima al passo di Falzarego. Ricomincio la discesa con a sinistra la vista delle Tofane e davanti a me una vallata stupenda di un bellissimo verde smeraldo. Metto il ciao in folle per risparmiare benzina arrivo a Cortina con inerzia della discesa sul filo dei settanta, freno per girare al ponte,sul torrente Boìte, ma Dio mio non frena. Quasi mettevo sotto il vigile che deviava il traffico. Ero rimasto senza freni i tamburi erano incandescenti. Me lo dovevo immaginare. Non dovevo fare quello sbaglio. Un detto dice: “è un folle chi in discesa va in folle”. Non l'ho seguito e adesso mi ritrovo e il posteriore inesistente e con il frenetto anteriore degno solo di una bicicletta. Per fortuna ormai mi trovo nel Cadore non ci sono più discese né passi da fare. La strada verso Pieve di Cadore è veloce, passo l’ abitato di Borca di Cadore. Sono stanco; il sole è tramontato, mancano più di cento km per casa.
Comincio pensare di dormire in una stanza in affitto, ma tiro sempre dritto. Scendo per la Cavallera che oggi non si fa più. Al suo posto oggi c' è uno stradone a tre corsie che la sostituisce. Fino ad Ospitale di Cadore ci sono diverse deviazioni per la costruzione della galleria. Arrivo a Longarone cantando come un pazzo a squarciagola per tenermi sveglio: Margherita di Cocciante che mi perdonerà per la mia interpretazione. Vorrei fermarmi ma se mi fermo mi addormento. Ricomincio a pedalare per salire alla diga del Vajont. Dopo le gallerie sulla destra il Toc. Si vede la faglia lucida che spunta dal monte con il chiaro della luna brilla di una luce sinistra. E' passato un ventennio dal disastro e non c’era la vegetazione di oggi. Il paesaggio e spettrale, penso che le puntate di Ufo le potrebbero tranquillamente girare anche qui. Devo anche andare piano il faro non fa una luce decente la strada e piena di curve. Passo Erto ed arrivo al passo della vergogna, il Passo di S Osvaldo. Il muraglione fatto costruire da chissà chi per salvaguardare la Val Cellina da un possibile distacco dal Toc di un altro pezzo di monte con conseguente fuoriuscita d’acqua da quel che resta del lago, cosa mai avvenuta.
Arrivo dopo Barcis al ponte Antoi e la nostalgia mi fa ricordare i miei primi anni di vita trascorsi come un selvaggio tra boschi, nuotate al lago, fragole, centrale dell’Enel, neve alta un metro e nessun raffreddore. Ho fatto tutta la Val Cellina per la strada vecchia, la nuova galleria arriverà dieci anni dopo darà più sicurezza ma toglierà dei passaggi mozzafiato in mezzo al nostro canyon. Ormai sono a Montereale anche qui ho passato sei anni della mia vita: tutte le elementari classe mista. Non sento più il culo sarà più di tre ore che non mi muovo da quella posizione. Arrivo a casa faccio fatica a scendere. Vado direttamente a dormire sono le dieci e mezza di sera e sono dodici ore di sella. Il nostro ferragosto è finito. Anche Adriano è arrivato a casa .
Ps: non ho più guidato il Ciao per due mesi.